IL CARCERE AL TEMPO DEL COVID-19


Gestione o impreparazione?

Il 29 aprile in piena emergenza sanitaria, ho presentato un’interpellanza, sottoscritta da oltre 11 consiglieri facendola così diventare Generale, sulla Gestione della pandemia negli istituti penali cittadini, vista la situazione altamente critica emersa anche sugli organi di stampa che in aggiunta al sovrannumero (1267 detenuti su 1060 posti disponibili) si presentavano rischi di contagio non solo fra i detenuti.

Dopo quasi due settimane, nel Consiglio dell’11 maggio l’assessora Schellino ha replicato affermando come ora sia tutto sotto controllo.

Ormai non c’è più pericolo. E poi la Città non ha potere gestionale nel carcere.

Poco importa che il carcere di Torino sia fra quelli italiani con il più alto numero di casi, che si attingono dal progetto regionale di Cassa Ammende briciole rispetto ai fondi stanziati, che con questi fondi si sarebbe potuto, per esempio, costituire una casa famiglia protetta per alcune detenute, che per il miglioramento annunciato sia intervenuto anche Medici Senza Frontiere.

E infine, sì come dice l’assessora, la Città non avrà competenze dirette sulla gestione carceraria, ma  può farsi parte attiva per segnalare situazioni o opportunità e comunque il carcere dovrebbe essere tenuto più in considerazione da parte della Città, considerando come l’Istituto sia una parte della città: al suo interno convivono complessivamente circa 3.000 persone tra detenuti, personale e agenti della polizia penitenziaria; inoltre intorno alla realtà del carcere gravitano i familiari e tutto l’indotto che consente all’istituto di funzionare: magistrati, avvocati, amministrativi. Un quartiere di Torino insomma.


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